Collina
Bomarzo
L'antico insediamento etrusco prese il nome di Polimartium sotto la dominazione romana e fu conquistato da Liutprando re dei Longobardi nel 741 che lo cedette alla Chiesa. Fu distrutto dagli Ungari nel X sec. e risorto come castello, il borgo prese il nome di Bomarzo. In seguito ebbe numerosi proprietari tra i quali gli Orsini che vi edificarono il palazzo baronale nel 1500; in particolare Pier Francesco Orsini detto Vicino, ideò il singolare parco dei mostri. Nel XVII sec. Bomarzo fu acquistato dai Lante della Rovere e nel XIX sec. fu venduto al principe Francesco Borghese.
Monumenti
Duomo: è di fondazione paleocristiana ristrutturato nel 1546 con elegante facciata a cui si accede attraverso due gradinata a ferro di cavallo. L'interno a tre navate diviso da pilastri in peperino e le pareti decorate con affreschi del XVI sec. di scuola fiorentina. Sulla parete sinistra del presbiterio e sulla volta si conservano affreschi con scene della vita della Vergine Maria, mentre sulla parete destra, affreschi dei miracoli compiuti da S. Anselmo, le cui reliquie sono custodite all'interno di un sarcofago del III sec. nell'altare maggiore.
Da ammirare anche gli affreschi quattrocenteschi della Madonna del Rosario, della maestà della Vergine e una Madonna sul trono col Bambino e Santi attribuita al Perugino; l'affresco cinquecentesco del martirio di S. Sebastiano e le tele seicentesche della Vergine del Rosario, S. Anna e la Vergine e Assunzione di Maria.
Accanto alla Chiesa s'innalza il caratteristico campanile edificato sui resti di una costruzione etrusca. Alcuni riferimenti di epoca romana sono visibili nel basamento costruito con pietre ben squadrate e delimitato nella parte superiore da una cornice classica. All'esterno della Chiesa si può notare attraverso una grata, il pozzo pubblico costruito nel 1546 come si evince dall'epigrafe.
Il centro storico con le strette stradine e piazze dagli scorci magnifici con cornice naturale, è un luogo dalla bellezza antica.
Palazzo Orsini: complesso risalente al XVI sec. che con il suo aspetto imponente domina il paese, formato da due edifici principali in uno di essi vi ha sede il Comune, l'altro ospita un salone incantevole, affrescato da pittori che sembrano appartenere alla scuola di Pietro da Cortona.
Parco dei mostri: si estende su di una superficie di tre ettari in una foresta di conifere e latifoglie, le sculture sono state realizzate in basalto e molte attrazioni sono contrassegnate da iscrizioni enigmatiche e misteriose.
E' un esempio inimitato di elaborazione della natura, con le sue figurazioni mitiche, spaventose e bizzarre. Lo ideò il principe Pier Francesco (Vicino) Orsini, personalità stravagante, depressa, sensibile, uomo brutto e dicono le cronache: poco incline ai sentimenti amorosi.
Nella serie di terrazzamenti che discendono verso la valle, senza un piano organico, sono state scolpite insolite raffigurazioni nei grandi macigni di peperino affioranti dal terreno. La costruzione iniziò nel 1552 come dice un'iscrizione negli obelischi presso l'anfiteatro del giardino: “sol per sfogare il cuore”.
Nei secoli successivi fu dimenticato e rimase sepolto dalle erbacce finché il pittore Salvator Dalì non lo riscoprì nel 1938. Si incontrano dapprima due sfingi all'ingresso del parco che danno il benvenuto, quindi una tartaruga gigantesca sormontata da una figura femminile senza braccia che in origine, secondo antichi documenti suonava un doppio strumento a fiato.
Un gigante colossale trattiene per le gambe una persona; non lontano sono una maschera funeraria, una fontana inclinata su cui si erge un Pegaso, un ninfeo e la famosa casetta pendente dove si prova un attimo di disorientamento per lo squilibrio prospettico.
In un altro gruppo compaiono un Nettuno, una figura femminile con un grande vaso sulla testa, un mostro marino. E ancora altre statue: una ninfa che dorme, un drago che lotta contro un cane e un leone, un elefante che reca sulla propria groppa una torretta e con la proboscide solleva un uomo.
Attraverso una scala si giunge presso una testa d'antropofago, maschera gigantesca con le fauci aperte, entro cui si trova un tavolo per banchetti. In alto infine, sorge il tempietto con piccola cupola che Vicino fece costruire in onore della defunta moglie Giulia Farnese. Tutt'intorno si trovano decorazioni di ghiande e pigne, orsi con la rosa tra le zampe, due sirene e due leoni.
Le iscrizioni sui monumenti stupiscono e confondono i visitatori e forse era proprio questa l'intenzione del principe:
“voi che pel mondo gite errando vaghi di veder meraviglie alte et stupende venite qua, dove son facce horrende, elefanti, leoni, orchi et draghi”.
Ci sono anche implicazioni morali:
“Animus quiescendo fit prudentior ergo”
O forse il complesso fu fatto semplicemente “per arte” in un doppio senso della parola:
“Tu ch'entri qua pon mente parte a parte et dimmi poi se tante meraviglie sien fatte per inganno o pur per arte”.
Scienziati, storici e filologi hanno fatto molti tentativi per spiegare il labirinto di simboli trovando temi antichi e motivi della letteratura rinascimentale per esempio: del Canzoniere di Francesco Petrarca; dell'Orlando furioso di Ludovico Ariosto e dei poemi di Amadigi e Floridante di Bernardo Tasso.
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